Rigoletto

TEATRO CHIABRERA FOYER TEATRO CHIABRERA
   
Martedì 4 novembre, ore 10.00     - Riservato Progetto Scuole PILLOLE IN MUSICA
Mercoledì 5 novembre, ore 10.00 - Riservato Progetto Scuole Martedì 4 novembre ore 17 - Ingresso gratuito
Venerdì 7 novembre ore 20.00 "Vendette e maledizioni. Rigoletto o l'amore di un padre"
Domenica 9 novembre ore 15.30 a cura di Emanuela Ersilia Abbadessa

 

RIGOLETTO
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Prima rappresentazione: 11 marzo 1851, Teatro La Fenice, Venezia

Personaggi Interpreti
Il Duca di Mantova Giuseppe Infantino
Rigoletto Junhyeok Felix Park/ Diego Savini
Gilda Mariam Battistelli
Sparafucile Tiziano Rosati
Maddalena Carlotta Vichi
Giovanna Elena Serra
Il Conte di Monterone Diego Savini/ Junhyeok Felix Park
Marullo Dario Giorgelè
Matteo Borsa Gianluca Moro
Il Conte di Ceprano Lorenzo Medicina
La Contessa di Ceprano
Un paggio della duchessa
Carola Marasco
Un usciere Lorenzo Ferrara
Figuranti

Emma Briano, Michela Castellani, Sara Caviglia, Elia Feci, Christian Rando, Corinna Isernia Rosso

Direttore Aldo Sisillo

Regia Pier Francesco Maestrini

Scenografo e Video Designer  Juan Guillermo Nova

Light Designer Jean Paul Carradori

Allestimento Teatro Nazionale Sloveno di Maribor

ORCHESTRA SINFONICA DI SAVONA
CORO DEL TEATRO DELL’OPERA GIOCOSA

Maestro del coro Gianluca Ascheri

 

Figuranti Emma Briano, Michela Castellani, Sara Caviglia, Elia Feci, Christian Rando, Corinna Isernia Rosso

Maestro Collaboratore di Sala Cesare Alberto Chioetto

Maestro Rammentatore Maddalena Vitali

Maestro Collaboratore di Palcoscenico Umberto Musso

Maestro alle luci Simone Giusto

Direttrice di Scena Giulia Marras

Responsabile tecnico e Capo Macchinista Lorenzo Trucco

Macchinisti Laura Pontiggia, Paolo Rebagliati, Pietro Zanella

Elettricisti Mattia Morganella, Giada Piseddu, Pietro Rebagliati

Attrezzista Erika Sambiase

Fonico Diego Lodato

Responsabile Sartoria Maria Paola Rotolo - Sarte Margherita Cervi, Fabiana Lorenzi

Aiuto Sarta Marta Tassinari

Capo Trucco Anna Olivieri

Truccatrici Laura Barbatelli, Simona Buonomo

Capo Parrucchiere Antonino Provenzano

Parrucchieri Elena Greco, Inna Orel

 

Dietro la maschera.
C’è in Rigoletto un fremito di modernità che incide il Romanticismo con la forza un colpo di rasoio ed è Verdi a squarciare un taglio oltre il quale all’eroe del melodramma storico-leggendario si sostituisce l’uomo ferito, sfigurato, braccato dal destino e dal potere. Nel corpo deforme del buffone di corte si nasconde il primo vero antieroe della storia dell’opera; sotto il volto imbrattato di biacca, dietro un ghigno dipinto di rosso si cela la dura immobilità della rabbia e, poi, il corrugarsi della fronte nella disperazione del pianto.
Lo racconta bene la musica di Verdi che rompe le convenzioni lasciando che la voce grave del suo giullare passi dal sarcasmo cinico al singhiozzo, inaugurando una stagione di “verità drammatica” fino ad allora sconosciuta al teatro d’opera. È così che Rigoletto diviene un organismo vivo in cui la musica non si limita ad accompagnare l’azione ma diviene essa stessa azione, traghettando Verdi verso una maturità di intenti che fiorisce piena nell’ardente epicità del Trovatore e si dipana nella confessione intima della Traviata.
La nuova tensione piega il canto alla parola, incrina la lineare perfezione della melodia per servire il dramma e, spingendo verso un bisogno di rottura della forma, trasforma le Arie in scene-arie che sono grida dell’anima e che – come poi avverrà per l’icastico urlo di Violetta “Amami, Alfredo” – svettano quasi senza ornamenti e poi sprofondando in una disperazione che rinuncia alla pulizia assoluta per raggiungere la verità. Verdi ridisegna così la logica del numero chiuso in favore di scene complesse in cui recitativi, cori, arie e duetti possano mescolarsi in funzione drammatica. E se “Ella mi fu rapita… Parmi veder le lagrime” conserva il rigore formale di un passato che sta per scadere, di contro, “Cortigiani, vil razza dannata” rompe con la tradizione e diventa un blocco drammaturgico fluido che si piega all’emozione del personaggio più che alle regole.
Ma la vera novità si nasconde dentro la dolcezza fragile e quasi vergognosa di Gilda e del suo amore che redime e condanna (sempre l’amore delle eroine della trilogia popolare redime e condanna, così è anche per Leonora e per Violetta). E, mentre il mondo intorno a lei sghignazza, Verdi riveste di un velo di luce la piccola donna destinata a diventare latrice di una rivoluzione silenziosa. Nella contrapposizione tra la brutalità del Duca e l’amore soffocante di Rigoletto, Gilda esce dalla convenzione e, primo personaggio femminile della scena lirica a farlo, evolve per diventare una donna a tutto tondo, perfettamente inserita in quell’Italia che verrà, per la cui causa Verdi si spende.

In un Ottocento che dell’opera seria del secolo precedente ha recuperato la donna titanica, l’umiliata e offesa, la penitente, la casta, la sedotta e abbandonata, la pazza per amore, a fronte di un appiattimento delle figure femminili dentro stereotipi più o meno interessanti e tridimensionali quanto una figurina Liebig, Gilda spicca come la donna che nell’arco di tempo di un’unica opera riesce cambiare e, da fanciulla ingenua, vergine e pura, diventa adolescente furba e capace di decidere della vita e della morte. Soprattutto se la morte è la sua. Verdi, infatti, ce la mostra all’inizio, ragazzina ingenua, invaghita di quello che pensa essere uno studente di nome Gualtiero Maldè ma che in realtà è il debosciato Duca di Mantova.
Eppure, già in quel momento, Gilda è carica di desiderio e ce lo dice la musica più che il testo di Francesco Maria Piave, lo dimostra in quella mirabile Cavatina, “Caro nome”, in cui la voce, spezzata dal singulto, picchia violentemente su abbellimenti arditissimi e tutti giocati sul registro acuto che sembrano quasi la trascrizione musicale di una scarica ormonale, di un’isteria tutta sessuale che poi si acquieta dopo l’amplesso e nella tragica confessione al padre. È quindi a questo punto che Gilda diventa (anche vocalmente) donna: sul letto disfatto del Duca, non appare soltanto la vittima di uno stupro ma un’adulta consapevole, per quanto provata dagli eventi, capace di rivelare al padre che quando andava a messa, mentre pregava Dio, la sua mente era altrove, desiderava un giovane “bello e fatale” e lo voleva con ogni fibra del suo corpo. Adesso è lì, nella camera da letto di un nobile scellerato, non più vergine e, da questo momento, può anche decidere per sé stessa.
Attraverso questa sottile rivoluzione drammaturgica, Verdi diventa il narratore dell’anima italiana, rinuncia ai re e ai guerrieri e guarda alla realtà in cui a vivere il dramma sono i genitori e i figli (così importanti in tutta la trilogia popolare). Abbandona lo spirito decorativo che aveva permeato il teatro lirico e guarda alla materialità della carne, perché in quell’uomo curvo che si trascina sulla scena, ridicolo, tenero e feroce, è racchiusa tutta la fragilità umana, irrimediabilmente tragica.

Emanuela E. Abbadessa