Concerto Sinfonico

FORTEZZA DEL PRIAMÀR DI SAVONA
Sabato 1 Luglio, ore 21.30

 

CONCERTO SINFONICO
ORCHESTRA SINFONICA DI SAVONA

Direttore Giovanni Di Stefano

Solisti Adriana Iozzia, Soprano, Eleonora Podestà, Violino

Programma

Franz SCHUBERT
Sinfonia n. 8, in si minore, n. 8, D 759, “Incompiuta”

Allegro moderato
Andante con moto
Allegro e Trio (128 battute)

Ludwig van BEETHOVEN
Romanza n. 2, in fa maggiore, per violino e orchestra, op. 50

Adagio cantabile

Ah! Perfido”, Scena e Aria per soprano e orchestra, op. 65

Ah! Perfido”, Allegro con brio in sol maggiore
Per pietà, non dirmi addio”, Adagio in mi bemolle maggiore

Egmont, Ouverture in fa minore per la tragedia di Johann Wolfgang von Goethe, op. 84

Sostenuto ma non troppo. Allegro

 

Tra il 1813 e il ‘18, Franz Schubert (1797-1828) portò a termine le sue prime sei Sinfonie, composte rapidamente. Al compimento dei ventun’anni la sua facilità creativa si stemperò nella consapevolezza della responsabilità del mestiere. Iniziarono così quei tormenti e ripensamenti che tra il 1820 e il 1821, diedero vita a un periodo di crisi in cui Schubert lasciava molti lavori incompiuti o allo stato di abbozzo. Riprese a scrivere con lena soltanto nel ’22 e, il 30 ottobre, si dedicò alla composizione di una nuova Sinfonia.
Sulla genesi dell’opera rimasta incompiuta per antonomasia, non si sa molto. Il manoscritto fu consegnato dall’autore all’amico Anselm Hüttenbrenner, rappresentante dell’Unione Musicale Stiriana di Graz a cui, probabilmente, la Sinfonia era dedicata come ringraziamento per avergli conferito il diploma onorifico. Fatto sta che il compositore non la terminò, abbandonandola prima della conclusione dello Scherzo, e l’amico la tenne nel cassetto per oltre quarant’anni.
Le ragioni della sua incompiutezza potrebbero risiede in questioni pratiche: abbandonare una partitura dalla quale non avrebbe ricavato molto e concentrarsi su una commissione per pianoforte (la Wanderer Fantasie) che gli avrebbe fruttato denaro essenziale date le condizioni economiche in cui versava. La prima esecuzione, postuma, avvenne al Burgtheater di Vienna per la Gesellschaft der Musikfreunde, il 17 dicembre 1865, con la direzione di Johann von Herbeck.

Pubblicata per la prima volta a Vienna, dal Bureau des Arts et Industrie, nel 1805 ma composta tra il 1795 e il 1802, la seconda Romanza per violino e orchestra di Beethoven (1770-1827) deve la denominazione alla grande cantabilità in cui il solista riveste per l’appunto lo stesso ruolo che sarebbe altrimenti affidato alla voce umana. Il titolo si deve comunque all’edizione giacché l’autore ne parlò come di un “Adagio per violino con accompagnamento strumentale”.
Nonostante il deciso ruolo solistico del violino, l’orchestra acquista via via, pur nella semplicità della scrittura, un ruolo preminente di sostegno drammaturgico anche se, fu probabilmente questo tipo di scrittura a lasciare inizialmente freddo il pubblico (è molto probabile che, vivo il compositore, sia stata eseguita soltanto due volte). Grande fortuna ebbero invece le riduzioni per violino e pianoforte e per violino e pianoforte a quattro mani di Czerny che la resero una pagina molto presente nei salotti borghesi dell’epoca e adattissima per consentire al violinista di turno di sfoggiare la propria tecnica.

Non è un mistero che l’interesse di Beethoven per l’operismo italiano fu limitato. Ma mentre il titano di Bonn si perfezionava – tra alterne vicende – con Haydn, veniva in contatto anche con gli insegnamenti di Antonio Salieri che, portentoso conoscitore dei misteri del canto e delle forme del melodramma, lo introduceva ai canoni drammaturgici essenziali per l’Opera italiana, insegnandogli le possibilità della voce, i suoi limiti e i trucchi per farne risaltare gli aspetti drammatici. L’Aria da concerto op. 65 rappresenta l’unico impegno di Beethoven nel campo dell’operismo italiano.
Su una copia manoscritta andata smarrita, compariva la dedica “alla Signora Di Clari”, ovvero Josephine Clary, soprano dilettante residente a Praga. Destinata dunque all’esecuzione da salotto (con organico ridotto, quindi), nel 1796 fu “riciclata” come “Scena italiana composta per la Signora Dusek”, l’eccezionale interprete che tra le amicizie vantava nientemeno che quella con Wolfgang Amadeus Mozart.
Il testo anonimo, derivato da Metastasio, si articola in Aria da concerto con recitativo, cantabile e allegro finale.

Tra l’ottobre del 1809 e il giugno del 1810, Beethoven si dedicò alla composizione delle musiche di scena per Egmont di Goethe. Mise a punto un’Ouverture e nove pezzi per soprano e orchestra. A spingerlo verso questo terreno, fu l’ammirazione per Goethe e l’interesse per l’olandese conte Egmont (1522-1568), combattente dell’esercito di Carlo V, nominato governatore e comandante generale delle Fiandre e dell’Arlois.
Commissionata da Joseph Marti von Luchsenstein, direttore dell’Hofburgtheater di Vienna, l’Ouverture rivela molte parentele formali con l’Ouverture Coriolano, op. 62, scritta per la tragedia di Heinrich Jospeh von Colline. La partitura fu pubblicata a Lipsia, da Breitkopf & Härtel, nel 1810.