D’altro canto, la narrazione diretta sarebbe stata alquanto complicata da rappresentare su un palcoscenico d’opera: la vicenda sarebbe stata trasformata in una sorta di legal thriller più televisivo che altro, ma senza le tensioni che sordidi e sanguinosi delitti potevano fornire.
Quindi quella narrativa è la dimensione perfetta per rappresentare questa vicenda, nella quale alcuni dei protagonisti ricordano e narrano i fatti del processo ai quali hanno assistito, ne sono stati protagonisti o comunque ne erano coinvolti, direttamente o indirettamente.
La musica asseconda questa impostazione drammaturgica, valorizzando la parola sopra ogni altro aspetto, e sostenendo ed assecondando le sfumature della narrazione spostandosi dal piano del ricordo a quello della rievocazione senza soluzione di continuità.
L’impostazione della drammaturgia indiretta, narrativa, consente una più chiara oggettivazione dei fatti, di cui il vero protagonista dell’opera, il Giudice, ha bisogno per affrontare il suo compito e risolvere il profondo dilemma che gli si pone: Legge o Giustizia?
Impegno e memoria di Elisabetta Courir
Il caso Pertini di D’ Aquila e Abbadessa è una bellissima occasione per aprire una finestra su fatti accaduti quasi cento anni fa. Vorrei iniziare, partendo da quello che ha detto il Presidente della Repubblica Mattarella a Marzabotto: «La memoria è un atto di responsabilità». Noi siamo fatti di memoria e ricordare, dal latino recordari, significa “indietro col cuore, richiamare nel cuore”, l’etimologia stessa della parola esprime la grazia e la gentilezza del gesto. Siccome non siamo creature destinate a subire passivamente l’azione pressante del tempo, possiamo concederci l’inestimabile valore del ricordo.
A ben vedere non si tratta di una lezione di storia ma, anzi, di capire quali sentimenti muovessero tutti i nostri personaggi che erano giovani ed erano molti: Camillo e Adriano Olivetti, Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Lorenzo Dabove, Emilio Ameglio, Francesco Spirito, Ettore Albini, Italo e Giacomo Oxilia, Giuseppe Boyancè ma in questa opera sono riuniti in pochi protagonisti, perché ricongiunti negli stessi intenti e volontà. Da loro possiamo apprendere cosa significhino coerenza di comportamento, adesione ai valori etici, volontà di restare ancorati a essi nei momenti più difficili, coraggio nell’esprimerli, capacità di tirare fuori il meglio da sé stessi e porsi al servizio della comunità. Per tutte queste ragioni, ricordare quei momenti può aiutarci a diventare persone migliori, se consapevoli che noi siamo gli artefici delle nostre scelte sempre, nel contesto che ci troviamo ad affrontare.
Siamo nel 1951 anzi siamo nel 1927, in pieno vigore ed espansione del Regime Fascista. Si vanno infittendo contestazioni e aggressioni verso chi si trovava in disaccordo. Il fondatore del PSI, l’Onorevole Filippo Turati e l’Avvocato Sandro Pertini erano fuggiti dall’Italia. Tra gli organizzatori e sostenitori della fuga di Turati, vi furono Camillo e Adriano Olivetti, Ferruccio Parri e Carlo Rosselli che vennero arrestati al loro rientro in Italia dalla Corsica. Attirarono l’attenzione della polizia a causa dello stato in cui si trovavano, dopo giorni di navigazione in condizioni proibitive. Furono scambiati per i complici di banditi ricercato in quelle zone. Si scoprì così, dopo un controllo con la questura di Milano che nei loro confronti era stato emesso un mandato di cattura per la complicità nella fuga di Ansaldo e Silvestri. A questa accusa si aggiunse quella relativa all’espatrio clandestino di Turati. Le indagini portarono all’arresto di tutti i complici e al processo, i giudici furono chiamati a pronunciarsi sia su questa fuga sia sui responsabili dell’espatrio.
Siamo nel 1951, anzi siamo nel 1927, Il caso Pertini inizia in un tempo che però subito cambia. Dentro quest’opera, racchiusa in dinamiche molto serrate, sono contenute numerose forme, è come se non fosse stata scritta per qualcuno che inizia in un modo e poi va avanti con continuità, come se la scrittura fosse trepidante, non ordinata come ci si aspetterebbe da una storia lineare: vuole essere piuttosto una sequenza di pensieri che riaffiorano attraverso immagini del passato come le risonanze più profonde dell’animo umano nella sua essenza intima.
Tutto questo, tradotto in fatti artistici, porta a tre piani drammaturgici che s’intersecano: Barbara Barkley Carter è la giornalista che riuscì pericolosamente a introdursi al processo e ne scrisse una corrispondenza. Lei è la strada del ricordo. Carlo Rosselli e il Coro sono le voci, i soggetti di quel processo, vivono travolti dai loro sentimenti, con scontri, slogan e paure, tra loro s’ inserisce la voce recitante del Giudice che mantiene vivo il senso profondo delle società umane, costituite da individui che diventano qualcosa solo grazie al valore della libertà. Sandro Pertini, nel luogo dell’ombra, ristabilisce un equilibrio tra le cose avvenute che sono il passato e le riflessioni sul presente, attraverso una dimensione metafisica rappresentata registicamente tramite le sue immagini riflesse o dipinte su alcuni oggetti di scena: un tavolo, un giornale , una foto strappata, uno specchio, il suo abito. Intanto, si raccontano gli incontri, le motivazioni, i sentimenti, gli scontri.
Ci siamo avvalsi di molti riferimenti all’arte povera, trovando tra alcuni suoi artisti come Jannis Kounellis, Anselm Kiefer, Paul Celan, Emilio Vedova, Christian Boltanski, personalità che entrarono nei grandi canali della dialettica di quel periodo con sensibilità arcaica. Ci è sembrato il punto di raccordo con la memoria per impressioni o immagini con un orizzonte diverso, per trasmetterci un messaggio universale di pace.
Pensare oggi il tempo del nostro domani, significa collocarlo all’interno di una sfida quotidiana, nella consapevolezza che questo non possa prescindere fuori dalla sua dimensione di un tempo passato.
Oggi, nella sua città, quest’ opera vuole essere un omaggio a Pertini, un grande italiano.
Una drammaturgia da inventare. di Emanuela E. Abbadessa
Ridurre alla misura di libretto d’opera in un atto una materia intricata come quella che riguarda il processo di Savona, che ebbe luogo nella città ligure dal 9 al 14 settembre del 1927, dopo una lunga istruttoria conclusasi il 14 giugno di quello stesso anno, per l’espatrio clandestino di Filippo Turati, non è semplice.
Per dare un’idea della complessità giuridica dei fatti è utile qualche dato: Filippo Turati e l’allora giovane avvocato Sandro Pertini erano accusati di espatrio clandestino per motivi politici ai sensi dell’art. 160 della Legge di Pubblica Sicurezza Testo Unitario n. 1848 modif. dall’art. 3 R.D. Legge del 14/04/1927 n. 593; Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Lorenzo Dabove, Francesco Spirito, Italo Oxilia, Giacomo Oxilia e Giuseppe Boyancè erano accusati di cooperazione alla preparazione e all’esecuzione dell’espatrio ai sensi dell’art. 3 R.D. Legge del 14/04/1927 n. 593 e n. 63 del Codice Penale; su Dabove e sui fratelli Oxilia gravavano anche alcuni reati legati a contravvenzioni al Codice per la Marina Mercantile; Ettore Albini era imputato di collaborazione all’ideazione ed esecuzione dell’espatrio avendo ospitato Turati nella sua abitazione di Caronno Ghiringhello (Varese).
Dunque, il primo problema che si pone agli autori dell’opera è quello della grande quantità di personaggi da mettere in scena: un collegio giudicante con tre magistrati ai quali aggiungere gli avvocati, il pubblico ministero e il cancelliere; gli imputati; i molti testimoni; il pubblico presente al processo e gli esponenti della stampa.
Il secondo problema riguarda la drammaturgia: i fatti salienti del processo sono estremamente ostici da far emergere in maniera segnante in un libretto d’opera. Da una parte, infatti, c’era l’esigenza degli avvocati difensori di dimostrare lo stato di necessità che portò all’espatrio, ammissibile in tribunale soltanto ripercorrendo tutte le vicende di violenza contro esponenti socialisti. Dall’altra, c’era il problema del collegio giudicante (i magistrati Pasquale Sarno, Giovannantonio Donadu e Angelo Guido Melinossi) che, pressato dal Regime per una sentenza esemplare, era conscio di dover mantenere l’indipendenza della magistratura ordinaria rispetto al potere esecutivo, negando la natura politica dell’espatrio e non dichiarandosi incompetente rispetto ai reati contestati, evitando così che gli imputati dovessero comparire di fronte al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (che prevedeva la pena di morte per attività antifascista), istituito il 25 novembre del 1926 per reprimere gli oppositori del Regime Fascista.
Il tribunale di Savona emise infatti una sentenza di condanna assai mite rispetto alle previsioni: Parri e Rosselli (le cui parole in aula furono contributi fondamentali per rendere il processo di Savona una cassa di risonanza delle istanze antifasciste) insieme a Dabove e Boyancè furono condannati a dieci mesi di reclusione di cui otto già scontati; la Corte cioè accolse il suggerimento degli avvocati difensori che avevano proposto la tesi di un espatrio per ragioni di salute e, escludendo l’elemento politico del reato, poterono abbreviare la durata della detenzione.
A questa sorta di “disobbedienza civile” dei magistrati, si unirono le voci di molti savonesi che, mostrando palese dissenso al fascismo, contrapposero le loro istanze a quelle dei sostenitori di Mussolini.
Al processo, di fatto erano ammessi soltanto i giornalisti italiani e la censura fece in modo che, nelle pagine di cronaca, fossero ospitati resoconti in cui gli imputati apparivano come criminali comuni e non antifascisti.
Unica giornalista straniera presente alle udienze fu Barbara Barclay Carter, amica di Luigi Sturzo, che riuscì a entrare in aula facendosi passare per una parente della moglie di Carlo Rosselli, Marion Cave. La giornalista poté così inviare il suo articolo sul processo al “Manchester Guardian” del quale era inviata.
Confezionando questo atto unico si sono dunque presentati problemi nuovi rispetto a quelli affrontati da Vico Faggi, nel 1965, mettendo in scena la sua pièce Il processo di Savona, rappresentata in occasione del ventesimo anniversario della Liberazione.
Nell’esigenza di ridurre il numero di personaggi e semplificare la materia giuridica, l’intera corte è stata concentrata nella figura del Giudice, portatore anche del dissidio morale tra etica e giustizia. Gli imputati sono stati “riassunti” nella sola figura di Carlo Rosselli che espone anche le testimonianze di Parri. A lui si aggiunge l’Ombra di Sandro Pertini che all’epoca del processo si trovava in Francia e che viene qui rievocato da Barbara Barclay Carter. La giornalista, morta nella sua casa di Bordighera, è ritratta molti anni dopo i fatti di Savona, quando apprende dalla lettera di un’amica il destino dei Rosenberg e ripercorre con la memoria il processo di Savona al quale aveva assistito, avendo in mente i motti di Sturzo come viatico e l’Ombra di Pertini come mentore.
Sottofondo della narrazione sono le voci della folla savonese, divisa tra sostenitori degli imputati e fedeli al fascismo.
Pertini, ricucendo infine le fila di quel tempo, è latore dello spirito libertario di quanti si opposero al regime e riassume, con la sua presenza, la stagione partigiana che portò alla Liberazione.