Caratteri Generali


foto © AllOpera di Milano

Nobili travestiti da poveracci, fanciulle in fiore, vecchi marpioni smaniosi, servi astuti e gran bailamme. Poi l'immancabile "tutto è bene quel che finisce bene". Questa è l'opera buffa, a partire dagli intermezzi settecenteschi, che mettevano in scena inghippi, intrighi e chi più ne ha ne metta per far ridere il pubblico.

Perfetto. Però il Barbiere è qualcosa di più. Va bene la tresca dei giovani amanti, vanno bene gli stratagemmi per beffare chi non sa stare al proprio posto e va benissimo pure il lieto fine. Ma qui c'è dell'altro. La pregnanza psicologica dei personaggi, ad esempio, poi la fitta interrelazione tra libretto e musica, che sprigiona la travolgente ironia rossiniana, senza dimenticare l'acuta analisi della società, con il confronto tra classi, con la supremazia assoluta di "quel metallo", che altro non  non è se non il denaro, con la vittoria dell'intelligenza; insomma, il Barbiere porta sulla ribalta tante succose novità, così da assumere il ruolo di prototipo dell'opera comica moderna. L'inizio di un percorso che porterà, tanto per dire, al Falstaff di Verdi, nel progressivo consolidarsi di un'idea drammatica forte, capace di far piazza pulita di certi superficiali stilemi del passato. Quindi via la risata sguaiata, via le caricature eccessive, spazio invece al sorriso e alla comprensione vera dei personaggi, bizzarri sì, ma anche profondamente umani e coerenti, mai fuori luogo a dispetto dell'apparenza.

L'opera è tratta dall'omonima commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, Le Barbier de Seville (1775) che insieme alla commedia Le Mariage de Figaro (da cui Mozart ha ricavato le sue Nozze di Figaro) e al dramma morale La Mère coupable (ripresa in musica, nel1964, da Darius Milhaud) compone la trilogia sulle vicende della famiglia spagnola d'Almaviva.

Di Barbiere ne era uscito già uno, quello di Giovanni Paisiello (1782) compositore molto influente ed apprezzato della precedente generazione, ancora in vita negli anni in cui operava il giovane Rossini; ed è per questo che il pesarese, per rispetto e forse anche per timore reverenziale verso il Maestro, decise di presentare la sua neonata creazione con un titolo diverso, Almaviva, o sia l'inutile precauzione.

Nella partitura, come era consueto all'epoca e non solo per Rossini, confluiscono spezzoni, arie, brani d'assieme scritti in precedenza per altre sue opere; prassi appunto consolidata e, se vogliamo, indispensabile, specie in questa occasione, in cui Rossini ebbe appena due mesi di tempo per comporre la sua opera. Partitura, per altro, che nel corso degli anni venne pesantemente modificata dai capricci dell'uno o dell'altro cantante; bisogna aspettare la cosiddetta Rossini-renaissance e gli studi accurati sugli autografi – siamo già in pieno Novecento – per rendere giustizia alla fisionomia originaria.

Il Barbiere di Siviglia andò in scena il 20 febbraio del 1816 al Teatro Argentina di Roma, quando Rossini non aveva nemmeno compiuto il quarto di secolo. La prima fu un fiasco clamoroso - probabilmente pilotato proprio dai sostenitori di Paisiello, offesi da tanto osare - ma già a partire dalla seconda rappresentazione, l'opera si risollevò trionfalmente e nel giro di pochi mesi venne riconosciuta come simbolo del genere buffo.