Note di Lucio Tufano

“RIUSCÌ D’UNA BELLEZZA SORPRENDENTE”: LA PAZZIA DI NINA A SAN LEUCIO (e a Napoli)

Il 25 giugno 1789, nel piccolo borgo di San Leucio presso Caserta, un pubblico selezionatissimo ebbe il privilegio di assistere alla prima rappresentazione di Nina o sia La pazza per amore, nuova creazione di Giovanni Paisiello allora all’apice della carriera. La speciale atmosfera della memorabile soirée può essere rievocata grazie alla dettagliata cronaca apparsa in un periodico coevo:

Nel giovedì 25 del corr[ente] fu eseguita la festa che in nome dei capi e seniori della nuova colonia di San Leuce dette il re nel r[eal] palazzo e giardini di Belvedere, e riuscì della massima vaghezza e magnificenza. Vi erano stati invitati con biglietto i capi di corte, segretari di stato, generalità, ministri esteri con i cavalieri delle loro respettive nazioni presentati a corte, la s[erenissi]ma duchessa di Saxe-Weymar, il card[inale] Spinelli, i comandanti della squadra spagnola con circa 50 degli ufiziali di essa e altrettante dame e cavalieri, in tutti non più di 240 persone. [...] All’imbrunire della sera si trasferirono al teatro nuovamente eretto in qualche distanza dal palazzo sotto la direzione dell’architetto e pittor teatrale sig. Domenico Chelli, che ne aveva dipinte le superbe decorazioni; vi fu rappresentato il dramma La Nina o sia La pazza per amore, parte recitato e parte cantato. Riuscì d’una bellezza sorprendente la musica composta espressamente dal celebre Paisiello, e la virtuosa Coltellini, non meno che gli altri cantanti, riscossero l’universale ammirazione. In faccia alla scena era un altro teatro separato dalla platea, vagamente decorato, in cui stavano disposti in anfiteatro gl’individui della colonia dei due sessi in abito uniforme, lo che faceva la più leggiadra comparsa.
(Gazzetta universale, 7 luglio 1789, p. 432)

Appositamente commissionata per la prima visita ufficiale della regina di Napoli Maria Carolina alla comunità leuciana, la «commedia di un atto in prosa ed in verso per musica tradotta dal francese» (così recita il frontespizio del libretto stampato per l’occasione) nacque come spettacolo fuori dall’ordinario, in larga misura sottratto ai vincoli e alle convenzioni della scena comica partenopea. Ciò è vero a partire dall’atipica fonte francese, la «comédie en un acte en prose mélée d’ariettes» Nina ou La folle par amour di Benoît-Joseph Marsollier des Vivetières messa in musica da Nicolas-Marie Dalayrac e data con successo a Parigi nel 1786. Nel 1788 il libretto transalpino, basato sull’alternanza comique di parola detta e parola cantata, era stato tradotto in italiano da Giuseppe Carpani per una singolare rappresentazione con le musiche originali di Dalayrac nel teatro di Monza, alla presenza dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo e della moglie Maria Ricciarda Beatrice d’Este. Il testo monzese raggiunse Napoli, forse grazie alle relazioni dinastiche tra le due corti (Ferdinando era fratello di Maria Carolina), dove fu ritoccato da Giambattista Lorenzi senz’altro d’intesa con lo stesso Paisiello. Non è difficile intuire lo scopo delle modifiche apportate. Due nuovi pezzi chiusi ‒ il coro Se il cor, gli affetti suoi e l’aria Per l’amata padroncina ‒ vennero inseriti per dare adeguato rilievo al personaggio di Susanna, che a Parigi e a Monza cantava solo negli ensembles. Il terzo cambiamento macroscopico consistette nella riorganizzazione del finale. Nel libretto di Marsollier l’azione termina con un conciso vaudeville nel quale tutti si rallegrano per la guarigione di Nina. Lorenzi e Paisiello, invece, decisero di anticipare l’attacco del numero conclusivo al punto in cui Lindoro aiuta Nina a ricordare il reciproco scambio di doni e promesse. In tal modo il finale di San Leucio ingloba l’intero processo attraverso il quale la protagonista giunge a riconoscere l’amato e a recuperare la ragione. Il compositore, pertanto, può sfruttare pienamente i picchi emotivi dell’azione e sviluppare un’architettura multisezionale caratterizzata dalla consueta mutevolezza di situazioni e di colori espressivi.

Sebbene Nina fosse stata concepita come unicum destinato a uno specifico evento della vita di corte, la sua fama presto si diffuse nella città di Napoli. Durante il mese di luglio del 1789, il teatro dei Fiorentini ospitò alcune rappresentazioni dell’opera nella versione originale in un solo atto, così che il pubblico della capitale potesse farsi un’idea dell’applauditissimo spettacolo. Un anno dopo, Nina venne inserita nel cartellone ufficiale dello stesso palcoscenico. In tale occasione Lorenzi e Paisiello rielaborarono la partitura nata per San Leucio allo scopo di adeguarla alle dimensioni di una normale ‘commedia per musica’. Eccezionalmente, l’alternanza di dialoghi in prosa e numeri di canto venne mantenuta. L’azione, tuttavia, fu divisa in due atti (denominati ‘parti’ nel corrispondente libretto). Una simile articolazione richiese la realizzazione di un finale primo per la conclusione del primo atto: nacque così il quartetto Come!... ohimè!... partir degg’io. Ma per poter costruire tale numero con la necessaria varietà di voci, c’era bisogno di un tenore. A tal fine, Lorenzi e Paisiello idearono una soluzione davvero brillante: trasformarono il suonatore di zampogna presente nella versione del 1789 in un vero e proprio personaggio, il Pastore, e assegnarono il ruolo allo stesso interprete di Lindoro, che al Fiorentini fu il grande tenore Giacomo David. Inoltre, per presentare in modo plausibile ed efficace il Pastore, aggiunsero la canzone Già il sol si cela dietro alla montagna, che per di più dava a David la possibilità di cantare un pezzo chiuso anche nel primo atto. L’ultimo cambiamento effettuato nel 1790 è l’innesto dell’aria ‘ansimante’ di Giorgio nel secondo atto, che serve sia a bilanciare la durata delle due parti della rappresentazione, sia a gratificare l’interprete, il leggendario basso buffo Antonio Casaccia.

Le due versioni di Nina ‒ quella in un atto solo del 1789 e quella in due atti del 1790 ‒ sono entrambe legittime, in quanto testimoniano la diversa reazione di uno straordinario uomo di teatro come Paisiello alle specifiche circostanze nelle quali gli fu dato operare. Lungi dal configurarsi come costrizioni della fantasia, le coordinate contingenti costituite dal luogo, dall’occasione e dagli interpreti disponibili sono le condizioni d’esistenza della creazione, che il compositore si ingegna di valorizzare e tesaurizzare grazie alla propria esperienza e sensibilità. E tuttavia poter riascoltare Nina nella sua forma originaria, più compatta e più serrata, costituisce un’occasione rara e preziosa e consente di cogliere in purezza i tratti peculiari di un’opera fortunata come poche, destinata a mietere successi strepitosi sui principali palcoscenici europei e a risplendere come uno dei titoli più luminosi nel pur vasto catalogo del suo geniale autore.

di Lucio Tufano