Note di Regia
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La relatività del punto di vista mi sembra il focus più interessante della Nina: ovvero a seconda di chi ci parla, abbiamo una percezione diversa di una realtà, che dunque si manifesta sotto tante forme diverse.
La follia è solo un’altra faccia della realtà, un altro modo di vedere, diverso, ma non per questo sbagliato o risibile. Un modo diverso di vedere il mondo, che è cambiato da quando Nina ha visto sgretolarsi il suo amore, la sua famiglia e tutto quello che la rendeva sicura di sé.
La presunta morte di Lindoro oscura tutto il suo mondo e quello della sua famiglia, metaforicamente la luce si spegne, la vita si addormenta e la loro grande casa cade in rovina: i muri si crepano, i decori sono coperti da teli bianchi e tutto si addormenta.
Nina si isola in questa grande casa addormentata e la sua follia la porta a vedere spazi aperti e natura selvaggia anche laddove ci sono solo cadenti mura domestiche: un mondo sempre notturno, dove campeggia una grande luna, un mondo dove la natura è arida e violenta e dove l’unico sprazzo di vita è un manto di fiori rossi.
In mezzo a queste due visioni della realtà, si erge una catasta di vecchi mobili, in cima alla quale Nina ha trovato un rifugio, non solo dalle altre persone, ma anche dalla sua follia: quando le visioni sono troppo forti, quando vuole stare lontana dal padre e dagli altri paesani, allora si nasconde lì sopra, seduta su un misero sgabello, ad osservare il suo mondo sconvolto dal punto più alto.
Proprio da questo mondo notturno della follia Nina presentirà la venuta del suo amato, dal canto dello zampognaro lontano, dall’eco di una natura che anela a rinascere, da Lindoro che, cosi intimamente legato a lei, arriverà prima nel sogno e poi nella realtà.
di Stefania Panighini