Note di Regia


foto © Rolando Paolo Guerzoni

Lucia di Lammermor, l’opera che trionfò e appassionò il suo pubblico fin dal debutto al Teatro San Carlo di Napoli nel 1835 è il risultato di un’intensa e proficua collaborazione tra il librettista Salvatore Cammarano e Gaetano Donizetti. Il libretto è ispirato al romanzo storico di Sir Walter Scott, The Bride of Lammermoor. Siamo nel Medioevo scozzese al tempo della Guerra delle Rose e della guerra tra due clan: quello degli Ashton (la famiglia cui appartengono Enrico e Lucia) e quello dei Ravesnswood di cui fa parte Edgardo, l’amante della protagonista costretta a sposare Arturo Buklaw per salvare il proprio fratello ormai prossimo alla rovina. È una storia di potere che vede protagonisti uomini guerrieri coinvolti in continue violenze e questo stesso mondo di violenza maschile opprime, schiaccia l’innamorata Lucia, appena orfana di madre, salvata dall’amato Edgardo da un letale violento toro.
Nella maggior parte dei numerosi allestimenti dell’opera che sono stati proposti sui palcoscenici di tutto il mondo, Lucia è predisposta alla follia fin dalla prima entrata. Io non la credo affatto folle fin dal principio, ma al contrario una persona piena di emozioni giuste, umane, sane. Lucia è in pieno possesso della sua vita empatica, ammette il dolore, conosce l’amore e lo vive emozionalmente, la gioia che Donizetti sottolinea con tutta l’introduzione dell’arpa, le angosce più profonde del nostro essere e, contrariamente a suo fratello, lei vive queste emozioni.
Enrico è morto in quanto odia se stesso e gli altri, segue esclusivamente le logiche del potere ed è quindi determinato dall’esterno, non ha una vita interiore come Lucia. La musica di Donizetti fa emergere di battuta in battuta una differenza evidente e abissale tra il mondo femminile di Lucia fatto di un susseguirsi continuo di diversi sentimenti, amore ed emozioni e quello unilaterale maschile dove trionfano quasi unicamente la smania di potere, di guerra (quindi di distruzione) e l’odio. Le musiche del mondo di Enrico sono spesso marce o musiche cupe.
Enrico è infelice, odia se stesso, non conosce l’amore, non ha una donna, non soffre per la morte della madre e ne parla soltanto in una battuta cinicamente. Si potrebbe anche dire che ciò che sembra essere normale sia in realtà la vera follia. Enrico, Raimondo, Normanno e in parte anche Edgardo sono personaggi deformati con grandi mancanze emotive.
Lucia rimane sorpresa e quasi scioccata dal primo incontro con l’amato Edgardo: si frequentano da molto tempo anche se di nascosto, ma finora non lo aveva mai conosciuto come uomo di potere, e ignorava il suo odio. La protagonista viene poi condotta alla follia da giochi di potere e inganni ad esso legati. Il culmine dell’opera è la famosa scena della follia che viene sempre rappresentata seguendo i clichés di quello che noi pensiamo sia folle con strani gesti e atteggiamenti secondo me gratuiti che non arrivano in nessun modo al vero nucleo di quanto accade con Lucia. È sorprendente che Cammarano e Donizetti la facciano parlare di Edgardo pur avendo appena assassinato Arturo. Lucia assassina parla con amore di Edgardo. Per me c’è una sola spiegazione a questa scelta drammaturgica: in verità Lucia è stata spinta alla schizzofrenia. Si è ribellata ai giochi di potere esterni a lei ammazzando Arturo per salvare dentro di sé la sua vera vita emozionale, cioè l’amore verso Edgardo. Nella mia lettura Lucia arriva in scena con il cadavere di Arturo, ma per lei questo morto diventa in una proiezione psicologica il simbolo del suo amore per Edgardo. Tutta la scena (come dimostra la musica) è piena d’amore. Tutti rimangono scioccati e quasi pietrificati (Donizetti non fa più cantare né il coro né Raimondo): Lucia riesce a realizzare il suo vero amore solo con il morto Arturo. Allora come oggi l’eccessiva smania di potere porta a una deformazione dell’anima che può rivelarsi causa di follia. La nostra storia recente è piena di psicopatici e di individui che si sono consegnati al potere.
In questo senso Lucia di Lammermoor risulta ancora attuale e contemporanea.

di Henning Brockhaus